lunedì 14 luglio 2014

Perfino il diritto romano con l'espressione "Nasciturus pro iam nato habetur, quotiens de commodis eius agitur" voleva indicare che il nascituro doveva essere considerato come già nato tutte le volte in cui si trattava di tutelare un suo diritto.

Una foto può commuovere, emozionare, incuriosire, ma può anche indignare, infastidire, irritare. Un’immagine, sentimentale o giornalistica, di cronaca nera o cronaca rosa che sia, può inevitabilmente suscitare emozioni profonde diverse ed encomiabili da persona a persona, a seconda delle esperienze e delle singole vicende vissute dalla stessa in relazione al suo stile di vita, alle origine, all’educazione ricevuta. In realtà dunque, non una semplice foto e nemmeno l’autore della stessa dovrebbero essere oggetto di eventuale critica quanto invece il significato che socialmente o eticamente si attribuisce ai soggetti ritratti da quest’ultima.

Emblema sicuramente importante è stato il caso di una foto scattata nei giorni scorsi dall’artista Llindsay Foster e raffigurante una coppia gay commossa nel tenere in braccio un bambino divenuto il “loro” bambino grazie alla pratica, permessa in molti paesi ma non in Italia, dell’utero in affitto detto anche “maternità surrogata”. Una vera e propria operazione che permette di impiantare un embrione, ottenuto dal seme del padre e dall’ovulo di una donatrice, nell’utero di una terza donna: percorso a cui quasi sempre tante coppie, disposte a non guardare il proprio portafoglio, ricorrono perché impossibilitate ad avere un figlio proprio per diversi motivi. Ma cosa significa realmente questa pratica? Perché tanta polemica?

Va ricordato anzitutto che la presenza di una terza donna, ovvero quella portatrice, risulta indispensabile  affinché nessuna della due possa rivendicare la maternità: se portatrice e donatrice fossero la stessa persona, allora questa sarebbe sicuramente la mamma e potrebbe portare parecchi problemi se decidesse, cambiando le carte durante il gioco, di volere invece il bambino. Il problema sta proprio nella parola “maternità”: quanto sono importanti le relazioni biologiche rispetto a quelle affettive? Viviamo in una società in cui ormai anche la parola maternità ha perso il suo significato. Non esiste etica di fronte il potere del denaro, non esistono regole dinnanzi la prepotenza umana. Se per molti avere un figlio è un diritto assoluto, per altri il diritto del bambino, “oggetto” che deve per forza appagare le mancanze dell’adulto, è invece il fattore etico che giustifica l’intolleranza verso tale “mercificazione” della vita. Come chiamarla altrimenti? Si sfrutta la disponibilità di una giovane donna economicamente svantaggiata per dare alla luce un bambino che, al momento più prezioso della sua nascita, verrà strappato dal seno della “mamma” per finire nelle braccia di due illustri conosciuti anche se pieni di soldi.

Ricordate la storia di Elton John? Desideroso, insieme al compagno, di diventare papà (o genitore 1-2), comprò l’utero di una donna fecondandola con lo sperma mescolato di entrambi; al momento della nascita tutti i presenti raccontarono dell’attimo imbarazzante in cui il bambino, alla ricerca del seno della mamma, fu allontanato e preso in braccio dal cantante che lo portò via nonostante quel pianto di dolore. Un pianto che durò per due lunghi anni. Ma a chi importa del dolore di quel bambino?

A proposito di bambino, perfino il diritto romano con l’espressione “Nasciturus pro iam nato habetur, quotiens de commodis eius agitur” voleva indicare che il nascituro doveva essere considerato come già nato tutte le volte in cui si trattava di tutelare un suo diritto. Affrontando dunque il discorso da un punto di vista giuridico e tenuto conto che in Italia il codice civile all’art. 462 permette al concepito non ancora nato di succedere (al momento dell’apertura della successione) come all’art. 784 di ricevere donazione, la legge 19 febbraio 2004 num. 40 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, afferma che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Nonostante tale divieto, la legge 40 risulterebbe quasi anacronistica tutte le volte in cui i giudici decidono di superare loro stessi la legge, autorizzando e giustificando a posteriori qualsiasi presunzione delle coppie.

Esempio molto recente è quello di una coppia di Milano che ricorse alla pratica in questione proprio in Ucraina, pagando 30 mila euro alla clinica Biotexcom e fecondando l’ovacita di una donna con lo sperma del marito della coppia. Alla nascita del bambino però i genitori tornarono in Italia dove l’ufficio anagrafe iscrisse il nascituro come figlio della coppia nonostante in Italia le uniche forme di genitorialità ammesse siano quella naturale o adottiva. Dopo il sollecito ad un tempestivo controllo da parte degli ambasciatori italiani in Ucraina sul caso, i giudici italiani ritennero assolti i due dal reato di alterazione dello stato civile del minore (art. 567 c.p.) perchè “la nostra normativa sulla filiazione è da considerarsi superata”. Secondo gli stessi la coppia aveva rispettato le regole vigenti nello stato dove ha avuto luogo la pratica, fatto che però, ribadiamo, non vieta all’Italia di rifiutare qualsiasi atto o legge di uno Stato estero qualora siano contrari all’ordine pubblico e al buon costume (legge di diritto privato internazionale n. 212 del 1995). Altro dunque che legge 40, dinnanzi il potere ed il volere di chi si sente in diritto di comprare il mondo, non esiste legge, non esiste regola.

Ci troviamo dunque di fronte ad una pericolosa quanto progressiva alterazione del concetto di maternità, processo che sembra camminare a braccetto con un intento politico sempre più determinato, progetto le cui istanze inevitabilmente andranno a scontrarsi con la difficoltà di conciliare da un lato i diritti assoluti di un bambino ad avere una crescita ed una famiglia “normale” e dall’altro il terribile quanto spietato egoismo umano teso a sacrificare l’umanità sull’altare del politicamente corretto.
di Roberta Barone - 07/07/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente

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