domenica 30 marzo 2014

Gli accordi commerciali come il TPP mirano solo a proteggere i profitti delle multinazionali a discapito di tutti noi

Gli accordi commerciali sono un argomento che merita attenzione, avverte Joseph Stiglitz in uno dei suoi ultimi interventi sul New York Times. In questo momento, prosegue il Premio Nobel per l'economia del 2001, ci sono proposte commerciali che minacciano di mettere la maggior parte degli americani sul lato sbagliato della globalizzazione. Opinioni contrastanti su questi accordi attraversano il Partito Democratico, anche se non si conosce l'opinione del presidente Obama.  Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, infatti, Obama ha fatto un vago riferimento a "nuove partnership commerciali" che creerebbero più posti di lavoro. Uno degli accordi in questione è il Trans-Pacific Partnership, o TPP, che legherà 12 paesi lungo il Pacifico nella più grande zona di libero scambio al mondo.
I negoziati per il TPP sono iniziati nel 2010, allo scopo, secondo il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d'America, di incrementare il commercio e gli investimenti attraverso l'abbassamento delle tariffe e l'eliminazione delle altre barriere commerciali tra i paesi partecipanti. Ma i negoziati TPP hanno avuto luogo in segreto e ciò, prosegue Stiglitz, ci costringe a fare affidamento su bozze trapelate per carpire le disposizioni proposte.
In più, tali accordi sono soggetti ad un procedura di approvazione facilitata al Congresso, secondo la quale il Congresso o approva o respinge in toto l'intero accordo commerciale, senza possibilità di revisioni o modifiche.
Ne è giustamente seguita una polemica, sostiene Stiglitz. Sulla base delle informazioni trapelate - e la storia dei patti commerciali passati - è facile dedurre la forma di tutto il TPP, e non sembra essere buona  Il rischio è che tutto andrà a esclusivo beneficio della ricca scheggia della élite americana e mondiale a discapito di tutti gli altri. E il fatto che tale piano sia allo studio testimonia quanto profondamente la disuguaglianza riverberi attraverso le nostre politiche economiche.
Peggio ancora, prosegue Stiglitz, gli accordi come il TPP sono solo un aspetto di un problema più ampio: la cattiva gestione della globalizzazione.
In generale, gli accordi commerciali oggi sono molto diversi da quelli fatti nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale quando i negoziati si concentravano realmente sulla riduzione delle tariffe. Mentre le tariffe venivano ridotte, il volume dei commerci ne beneficiava e ciascun paese poteva sviluppare i settori in cui aveva i propri punti di forza, innanlzando, di conseguenza, gli standard di vita. Alcuni posti di lavoro sono stati persi, ma ne sono stati creati degli altri.
Oggi, lo scopo degli accordi commerciali è diverso. Non ci sono tariffe da abbassare e quindi i negoziati hanno ad oggetto altre barriere “non tariffarie” e le più importanti di queste - per gli interessi corporativi che spingono per questi accordi - sono le norme.
Le grandi multinazionali si lamentano che norme incoerenti rendono gli affari costosi. Ma la maggior parte dei regolamenti,  anche se imperfetti, sono lì per un motivo: per proteggere i lavoratori, i consumatori, l'economia e l'ambiente e tali regolamenti sono stati spesso messi in atto dai governi che rispondono alle esigenze democratiche dei cittadini.
I sostenitori di questi accordi commerciali insistono sull'armonizzazione normativa, una frase dal suono pulito che implica un piano per promuovere il profitto delle multinazionali.
E' particolarmente rischioso lasciare che i negoziati commerciali procedano in segreto. In tutto il mondo, i ministeri commerciali sono catturati da interessi corporativi e finanziari. E quando i negoziati sono segreti, non c'è modo che il processo democratico sia in grado di esercitare i controlli necessari per porre limiti agli effetti negativi di tali accordi .
 I negoziati condotti in segreto potrebbero essere sufficienti a causare polemiche significative per il TPP. Quello che sappiamo dei suoi particolari lo rende solo più sgradevole. Uno dei punti contestati è la facoltà di accesso al Tribunale Internazionale per mettere sotto accusa uno Stato e le sue norme, qualora una società internazionale che opera sul suo territorio reputi che il suo diritto a conseguire un legittimo profitto sia stato intaccato. Non stiamo parlando di un problema teorico, tende a precisare Stiglitz. Philip Morris ha già provato questa tattica contro l'Uruguay, sostenendo che le sue norme antifumo, che hanno ottenuto il riconoscimento da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, danneggia i profitti  violando un trattato commerciale bilaterale tra la Svizzera e l'Uruguay. In questo senso, gli accordi commerciali recenti ricordano la guerra dell'oppio, durante la quale le potenze occidentali costrinsero la Cina ad aprire i propri mercati all'oppio in ossequio al principio del libero commercio.
Disposizioni già incorporate in altri accordi commerciali vengono utilizzate altrove per minare normative ambientali e di altro tipo. I paesi in via di sviluppo pagano un prezzo elevato per la firma di queste disposizioni e l'evidenza che in cambio ottengano maggiori investimenti è scarsa e controversa .
Ci sono altre disposizioni nociveL'America ha combattuto per abbassare il costo della sanità. Ma il TPP renderebbe l'introduzione di farmaci generici più difficile, e quindi aumenterebbe il prezzo dei farmaci. Nei paesi più poveri , non si tratta solo di spostare denaro nelle casse aziendali: migliaia morirebbero inutilmente. Naturalmente, chi fa ricerca deve essere risarcito. Ecco perché abbiamo un sistema di brevetti  Ma il sistema dei brevetti dovrebbe bilanciare attentamente i benefici della protezione intellettuale con un altro obiettivo: un maggiore accesso alla conoscenza.
 Le preoccupazioni sono sempre maggiori. Un modo di leggere i documenti negoziali trapelati suggerisce che il TPP potrebbe rendere più facile per le banche americane vendere i derivati ​​a rischio in tutto il mondo; forse l’impostazione dello stesso tipo di crisi che ha portato alla Grande Recessione.
A dispetto di tutto questo, tra coloro che con passione sostengono il TPP ci sono molti economisti. Ciò che rende possibile questo supporto è la falsa teoria economica che è rimasta in circolazione, soprattutto perché serve gli interessi dei ricchi.
La teoria del “libero commercio” è un principio centrale dell'economia nei primi anni della disciplina. Anche se ci sono vincitori e vinti, non può essere un problema, perché il saldo è largamente positivo e ci sarà comunque modo di compensare i perdenti. Questa conclusione, purtroppo, si basa su numerosi presupposti , molti dei quali sono semplicemente sbagliati.
Innanzitutto queste teorie semplicemente ignorano il rischio e assumono che i lavoratori possano muoversi senza problemi tra posti di lavoro e da settori a bassa produttività a settori ad alta produttività. Ma quando c'è un alto livello di disoccupazione, e soprattutto quando una grande percentuale dei disoccupati è senza lavoro a lungo termine ( come è il caso oggi ), una simile compiacenza non ci può essere.
Oggi, ci sono 20 milioni di americani che vorrebbero un lavoro a tempo pieno, ma non riescono ad ottenere uno. Milioni di persone hanno smesso di cercare. Quindi c'è un rischio reale che gli individui a bassa produttività vada ad ingrossare le fila dei disoccupati “a zero produttività” a danno anche di coloro che conservano il lavoro dal momento che un aumento della disoccupazione esercita una pressione al ribasso sui salari .
Possiamo discutere sul perché la nostra economia non si stia comportando secondo il modello - se è a causa della mancanza di domanda aggregata, o perché le nostre banche, più interessate alla speculazione e alla manipolazione del mercato che al prestito, non stanno garantendo fondi adeguati alle piccole e medie imprese. Al di là delle ragioni, la realtà è che questi accordi commerciali rischiano di far aumentare la disoccupazione.
Una delle ragioni per cui stiamo così male è che abbiamo gestito male la globalizzazioneSono state promosse politiche economiche che incoraggiano l'outsourcing di posti di lavoro e le merci prodotte all'estero con manodopera a basso costo possono essere riportate a buon mercato negli Stati Uniti. Così i lavoratori americani capiscono che devono competere con quelli esteri, e il loro potere contrattuale ne risulta indebolito. Questo è uno dei motivi per cui il reddito reale medio dei lavoratori di sesso maschile a tempo pieno è più basso di quanto non fosse 40 anni fa.
La politica americana odierna aggrava questi problemi. Anche nella migliore delle ipotesi, la vecchia teoria del libero commercio diceva soltanto che i vincitori avrebbero potuto risarcire i perdenti, non che l’avrebbero fatto. E così è stato: non l’hanno fatto. Anzi, hanno fatto il contrario.
I sostenitori degli accordi commerciali spesso sostengono che per essere competitiva l'America deve tagliare salari, tasse e spese pubbliche, soprattutto i programmi che sono di beneficio per i cittadini. "Dobbiamo accettare il dolore a breve termine", dicono, "perché nel lungo periodo tutti ne traggano vantaggio". Ma, come ricordava John Maynard Keynes, "nel lungo periodo saremo tutti morti".
In questo caso, ci sono poche prove che gli accordi commerciali porteranno ad una crescita più veloce o maggiore.
I critici del TPP sono così numerosi perché  il processo e la teoria che lo sorreggono godono ormai di poco creditoL'opposizione non è sbocciata solo negli Stati Uniti, ma anche in Asia, e i negoziati sono in fase di stallo. Mettendosi alla guida di una protesta a tutto campo contro l’ente responsabile del Tpp, Harry Reid, leader della maggioranza del Senato, sembra averci dato una piccola tregua. Coloro che vedono accordi commerciali strumenti utili ad arricchire le multinazionali a discapito del 99% della popolazione sembrano aver vinto questo schermaglia.  Ma c'è una guerra più ampia al fine di garantire che la politica commerciale - e la globalizzazione, più in generale - sia riprogettata in modo da aumentare gli standard di vita della maggior parte degli americani. E l'esito di questa guerra rimane incerto.
Stiglitz ribadisce due punti: il primo è che l'elevato livello di disuguaglianza negli Stati Uniti di oggi  e il suo enorme aumento nel corso degli ultimi 30 anni, è il risultato cumulativo di una serie di politiche, programmi e leggi. Dato che lo stesso presidente ha sottolineato che la disuguaglianza dovrebbe essere la priorità assoluta del paese, ogni nuova politica, programma o la legge dovrebbe essere esaminata dal punto di vista del suo impatto sulla disuguaglianza. Accordi come il TPP hanno contribuito in modo importante a questa disuguaglianza. Le multinazionali potrebbero trarne beneficio, ed è addirittura possibile, per quanto non garantito, che migliori anche il prodotto interno lordo così come è misurato per prassi. È assai probabile, però, che il benessere dei normali cittadini subirà un duro colpo.
E questo porta al secondo punto: la trickle-down theory è un mito. Arricchire le multinazionali - come farebbe le TPP - non necessariamente aiuterò chi si trova a metà della piramide economica, per non parlare di chi si trova in basso.

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