giovedì 3 gennaio 2013





Qui sotto, un esempio di giornalismo, quello che il servizio pubblico dovrebbe essere e non e'. E non e' per il semplice motivo che il vero giornalismo HA in se' il pensiero critico, quello che NON si vuole che la gente impari ad avere.


Siria: “errori di stampa” sulle dichiarazioni di Putin

Timori da parte della Giordania per la possibile ascesa al potere dei Fratelli musulmani e la
possibile nascita di un’alleanza islamica 
Matteo Bernabei

“Non siamo preoccupati del destino di Assad (foto), sappiamo che c’è una richiesta di cambiamento e la sua famiglia è al potere da 40 anni, ma quello che ci preoccupa è cosa avverrà dopo”. Sono queste le ultime parole pronunciate ieri dal presidente russo Vladimir Putin, nel corso di una conferenza a Mosca alla quale hanno preso parte anche giornalisti stranieri, e che hanno scatenato il solito e ingiustificato turbinio di congetture. La stampa internazionale, compresa quella nostrana, si è subito prodigata in considerazioni su quello che è stato erroneamente interpretato come un cambio di rotta, da parte del leader del Cremlino, nei confronti dei vertici di Damasco e in particola modo del presidente siriano. “Putin: occorrono cambiamenti dopo 40 anni di potere Assad”, recitava ieri il titolo di un lancio di una importante agenzia italiana, che attribuiva al capo di Stato russo una frase che lui in realtà non ha mai pronunciato in questo modo e di conseguenza un concetto che non ha mai espresso. La posizione di Putin sulla Siria non è mai cambiata e quello che realmente il presidente intendeva era ben altra cosa. A spiegarlo è lo stesso ex agente del Kgb alla fine delle sue considerazioni, quando ribadisce, senza possibilità di equivocare che “lo sviluppo futuro della situazione in Siria deve dipendere dalla sua gente”. In sintesi il capo del Cremlino non mette limiti alla volontà popolare, purché sia soltanto quest’ultima senza ingerenze esterne a determinare i cambiamenti necessari al rinnovamento del Paese. Cambiamenti la cui necessità è stata riconosciuta, in primis, dallo stesso Bashar al Assad di fronte alle prime richieste provenienti dalla popolazione e alle quali ha in parte dato inizio. 
Su un altro punto molto importate Putin è stato altrettanto chiaro, sebbene la cosa sia stata puntualmente posta in secondo piano dalla stampa occidentale: Mosca non vuole ripetere lo stesso errore commesso per la Libia, che “continua a essere dilapidata” e “sconvolta ovunque da conflitti”. Un monito quest’ultimo lanciato ai membri dell’Alleanza Atlantica che stanno cercando di forzare in tutti i modi la caduta delle attuali autorità siriane, senza considerare le conseguenze per il Paese e nell’intera regione. Conseguenza che preoccupano persino la Giordania, la quale teme un’ascesa in tutto il Vicino Oriente dei Fratelli Musulmani, già al potere in Egitto. Amman teme in particolare la nascita di un’alleanza islamica che vada ad agire poi sugli altri Paesi della penisola, in alcuni dei quali la fratellanza si è già dimostrata attiva negli ultimi mesi dando vita a manifestazioni di piazza e cortei. Nulla è cambiato quindi se non il fatto che crescono i timori riguardo chi possa realmente governare la Siria nel caso in cui l’attuale leadership dovesse per qualunque malaugurato motivo uscire di scena.
  
Per l’Italiano rapito un riscatto di 530mila euro
I rapitori dell’ingegnere catanese Mario Belluomo e dei suoi due colleghi russi avrebbero chiesto 530.000 euro di riscatto per la loro liberazione. A rivelarlo è stato ieri il quotidiano russo Kommersant, che cita a riguardo una fonte diplomatica a Mosca, secondo la quale la richiesta giunta nei giorni scorsi al governo di mosca ammonterebbe a “50 milioni di lire siriane”.
“Mosca – aggiunge poi la fonte - coopera con i principali paesi occidentali, compresi l’Italia e gli Stati Uniti, per ottenere la liberazione degli ingegneri”.
21 Dicembre 2012 Rinascita

Siria, Washington riconosce opposizione. Mosca: contraddice accordo di Ginevra

Mosca - Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha detto che la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la cosiddetta Coalizione nazionale delle opposizion come il legittimo rappresentante del popolo siriano contraddice l'accordo raggiunto lo scorso giungo a Ginevra da parte di cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna), piu' Turchia, Iraq, Kuwait e Qatar, i segretari generali delle Nazioni Unite e della Lega araba e l'Alto rappresentante dell'Unione europe sull'istituzione in Siria di un governo di transizione in grado di includere sostenitori del presidente Bashar al-Assad e membri dell'opposizione per trovare una soluzione politica al conflitto.

Siria: Apocalisse annullata di Andrej Fomin 

La situazione in Siria si è alleggerita negli ultimi giorni. Gli statunitensi ritirano l’USS Eisenhower e il gruppo anfibio dell’USS Iwo Jima dal Mediterraneo orientale. Il presidente Obama si aspetta che questo passo ‘allevi la tensione nella regione’. Che tipo di tensione si è avuto, per divenire motivo di preoccupazione improvvisa per il governo statunitense, dopo 22 mesi di interferenza diretta negli affari siriani? Diamo un breve sguardo ai recenti eventi.
La decisione della NATO di implementare sistemi missilistici Patriot sul confine Turchia-Siria all’inizio di dicembre, è stata affrettata. La giustificazione dello schieramento per la presunta difesa del territorio turco contro granate e proiettili occasionali provenienti dalla Siria, è ridicola. Il sistema Patriot non è in grado di fornire tale protezione. È progettato per scopi antiaerei e ha una limitata capacità anti-missili tattici. Così i Patriot in Turchia dovrebbero contrastare solo i MIG siriani. Ma questo scenario è impossibile in Turchia, nel caso non invada la Siria. Allo stesso tempo, i gruppi d’attacco degli Stati Uniti sono arrivati nel Mediterraneo orientale, indicando la preparazione della NATO a un potenziale intervento terrestre.
In risposta la Russia ha rafforzato la sua flotta nella zona. Un gruppo d’attacco russo guidato dall’incrociatore pesante Moskva sarà affiancato da diverse navi da guerra (incrociatori, navi d’assalto anfibio e cacciatorpediniere) delle flotte russe del Nord e del Baltico, che dovrebbero  arrivare nel Mediterraneo orientale la prossima settimana. Ufficialmente le navi da guerra compiono esercitazioni e rifornimenti nella base russa di Tartus in Siria, sulla via per la missione anti-pirateria in Somalia. Il loro coinvolgimento nel confronto sulla Siria è solo questione della volontà politica della leadership russa. Di conseguenza la concentrazione delle marine che si affrontano al largo della costa siriana da metà dicembre, era quasi minacciosa.
La decisione degli Stati Uniti di ritirare le navi da guerra ha notevolmente irritato la Turchia, rimasta senza il sostegno degli Stati Uniti in caso di escalation militare, ma ciò ha ridotto al minimo la possibilità di un simile scenario. Questa ritirata non è la prima degli Stati Uniti: lo stesso è accaduto quando un jet turco è stato abbattuto a giugno o quando Israele ha suscitato lo spauracchio delle armi chimiche siriane a luglio.
Oltre alla vigorosa posizione russa sulla questione siriana, un altro fattore che ha causato questa tendenza positiva nella situazione siriana è la politica interna degli Stati Uniti. Il ‘virus allo stomaco’ che di recente ha disturbato la signora Clinton, potrebbe essere considerata una malattia diplomatica che le ha permesso di evitare la partecipazione alla seduta aperta alla Camera sugli attentati di Bengasi, dove rimase ucciso l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, a settembre. Questo assassinio è una conseguenza diretta del fallimento della politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente, degli ultimi anni, come è stato riconosciuto da Daniel Benjamin, coordinatore per la lotta al terrorismo del Dipartimento di Stato: “…La rivoluzione libica ha liberato le mani a ogni gruppo estremista e ha dato luogo a un terrorismo diffuso. Un altro esempio di ciò è la Siria, dove i membri di al-Qaida in Iraq hanno cercato di ottenere un punto d’appoggio permanente da parte dell’opposizione. Le rivoluzioni che hanno spazzato la regione lo scorso anno, hanno aumentato il pericolo dell’estremismo e diffuso instabilità.”
Un rapporto confidenziale statunitense, elaborato dalla commissione indipendente sull’assalto a  Bengasi merita una particolare attenzione. Le conclusioni hanno ovviamente influenzato la decisione degli Stati Uniti di sospendere l’ulteriore aggravamento della situazione in Siria. Anche se difficilmente porterà gli Stati Uniti ad abbandonare il piano di destabilizzazione regionale, impone sicuramente una maggiore cautela, al fine di non screditare definitivamente la politica estera degli Stati Uniti. Delle rivelazioni indesiderate sui motivi reali dietro la primavera araba, potrebbero gettare nella confusione la società civile statunitense, fiduciosa che Washington combatta contro il terrorismo in tutto il mondo, che gli alleati degli Stati Uniti, appena consapevoli di essersi offerti come pedine del gioco geopolitico.
Oriental Review
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora


L’ESL continua a brillare come una stella morta di Thierry Meyssan

Il conto alla rovescia è iniziato. Non appena la nuova amministrazione Obama sarà confermata dal Senato, presenterà un piano di pace per la Siria al Consiglio di sicurezza. Giuridicamente, sebbene il presidente Obama succeda a se stesso, la sua amministrazione uscente ha soltanto il potere di curare gli affari correnti e non può prendere alcuna iniziativa importante. Politicamente, Obama non aveva reagito quando, in piena campagna elettorale, alcuni suoi collaboratori avevano fatto fallire l’accordo di Ginevra. Ma ha proceduto a fare un repulisti dopo l’annuncio della sua rielezione. Come previsto, il generale David Petraeus architetto della guerra in Siria è caduto nella trappola che gli è stata tesa ed è stato costretto a dimettersi. Come previsto, i caporioni della NATO e dello Scudo antimissile, refrattari a un accordo con la Russia, sono stati messi sotto inchiesta per corruzione e costretti al silenzio. Come previsto la segretaria di Stato Hillary Clinton è stata messa fuori gioco. Solo il metodo scelto per eliminarla ha destato sorpresa: un grave malanno che l’ha fatta cadere in coma.

Dal lato dell’ONU, le cose sono andate avanti. Il dipartimento delle operazioni di mantenimento della pace ha firmato un memorandum con l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC) a settembre. Ha supervisionato in Kazakhstan nel mese di ottobre le manovre dell’OTSC che simulavano un dispiegamento di «chapka blu» in Siria. Nel mese di dicembre, ha riunito i rappresentanti militari dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza per presentare loro la maniera in cui tale dispiegamento avrebbe potuto realizzarsi. Sebbene contrari a questa soluzione, i francesi e i britannici si sono inchinati alla volontà statunitense.

Il fatto è che sul terreno, il governo siriano si trova in una posizione di forza. La situazione militare si è invertita. Gli stessi francesi hanno smesso di evocare le «zone liberate» che aspiravano a governare attraverso un mandato delle Nazioni Unite. Queste aree non hanno smesso di ridursi, e dove ancora persistono, sono nelle mani di salafiti poco presentabili. Le truppe dell’ESL sono state istruite affinché abbandonassero le loro posizioni per raggrupparsi attorno alla capitale in vista di un assalto finale. I Contras speravano di sollevare i profughi palestinesi, in maggioranza sunniti, contro il regime pluriconfessionale, nel modo in cui gli Hariri in Libano cercarono di sollevare i palestinesi sunniti del campo di Nahr el-Bared contro l’Hezbollah sciita. Così come in Libano, questo progetto è fallito perché i palestinesi sanno benissimo chi sono i loro amici, chi si batte davvero per la liberazione della loro terra. In particolare, nella recente guerra di Israele di otto giorni contro Gaza, sono state le armi iraniane e siriane a fare la differenza, mentre le monarchie del Golfo non muovevano un dito.

Alcuni elementi di Hamas, fedeli a Khaled Meshaal e finanziati dal Qatar, hanno aperto le porte del campo di Yarmouk ad alcune centinaia di combattenti del Fronte di sostegno ai combattenti del Levante (ramo siro-libanese di Al-Qa’ida), anch’essi legati al Qatar. Hanno combattuto soprattutto contro gli uomini del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Generale (FPLP-CG). Il governo siriano ha chiesto via sms ai 180mila residenti del campo di lasciare quel luogo il più presto possibile, e ha loro offerto un alloggio temporaneo in alberghi, scuole e palestre a Damasco. Alcuni hanno preferito raggiungere il Libano. Il giorno dopo, l’esercito arabo siriano ha attaccato il campo con armi pesanti e ne ha ripreso il controllo. Quattordici organizzazioni palestinesi hanno allora firmato un accordo che dichiara il campo «zona neutra». I combattenti dell’ESL si sono ritirati in buon ordine, e hanno ripreso la loro guerra contro la Siria nella campagna circostante, mentre i civili riguadagnavano le loro case, o le rovine delle loro case.

In termini strategici, la guerra è già finita: l’ESL ha perso ogni sostegno popolare e non ha più alcuna possibilità di vincere. Gli europei ancora pensano di poter cambiare il regime corrompendo funzionari di alto rango e provocando un colpo di stato, ma sanno che non potranno farlo con l’ESL. Continuano ad arrivare dei Contras, ma il flusso di denaro e armi si inaridisce. Gran parte del sostegno internazionale si è fermato, anche se non ne vediamo ancora le conseguenze sul campo di battaglia, un po’ come una stella che può continuare a brillare a lungo dopo la sua morte.

Gli Stati Uniti hanno chiaramente deciso di voltare pagina e di sacrificare l’ESL. Gli danno istruzioni stupide che destinano i Contras alla morte. Più di 10mila sono stati uccisi durante il mese scorso. Contemporaneamente, a Washington, il National Intelligence Council cinicamente annuncia che il «jihadismo internazionale» presto sparirà. Altri alleati degli Stati Uniti dovrebbero chiedersi se il nuovo accordo non implichi che anch’essi siano da sacrificare.
Traduzione di Matzu Yagi su Voltairenet


I miliziani siriani ribelli usano armi chimiche?

Guerra di notizie sulle armi che potrebbero creare un casus belli di vasta portata.
Si riferisce l’uso di armi chimiche da parte dei miliziani armati e finanziati dalla NATO nei pressi di Damasco.

di Tony Cartalucci – Land Destroyer.

PressTV ha riferito (maggiori dettagli su Fars News) che armi chimiche sono state usate dai miliziani che combattono le forze governative siriane a Daraya, vicino a Damasco. PressTV ha anche riferito in merito alle minacce proferite contro le minoranze etniche della Siria sul fatto che le loro risorse idriche saranno avvelenate da miliziani - questo sulla scia dell’avvertenza della stessa ONU (che così preventivamente manovra la notizia) su un imminente genocidio condotto su basi settarie.
La foto qui sopra: (tramite il Guardian) «Contenitori chimici nel deserto libico. Ci sono preoccupazioni sul fatto che armi incustodite possano cadere nelle mani di miliziani islamisti. Foto: David Sperry/AP». Al crescere delle prove che rivelano come i combattenti libici e le loro armi si stiano riversando in Siria, l’Occidente si prepara a coprire e insabbiare l'inevitabilità che anche l’arsenale chimico della Libia trovi una sua via nella nazione assediata. Appare ora che tali armi siano state dispiegate dai terroristi che agiscono per procura della NATO.
L’agenzia AFP ha riferito che le minacce dei terroristi sostenuti dalla NATO contro gli 1,8 milioni di cristiani della Siria sono diventate talmente gravi che l'Organizzazione per la cooperazione islamica ha fatto una dichiarazione ufficiale che condanna i militanti. AFP ha riferito:
«Il più grande ente del mondo musulmano domenica ha condannato le minacce pronunciate dai ribelli islamisti in Siria contro due città cristiane, sintomo di un conflitto confessionale emergente nel paese devastato dalla guerra.»

L'uso di armi chimiche, se confermato, indicherebbe una nuova disperata dimensione nella guerra per procura della NATO con la Siria: destinato esclusivamente a seminare paura e terrore, così come i germi di un conflitto confessionale, laddove l'asse occidentale ha altrimenti fallito sia tatticamente che strategicamente.
Nel momento in cui i miliziani sostenuti dalla NATO minacciano apertamente un genocidio settario, si teme che verranno utilizzati per realizzarlo non solo le armi e i fondi della NATO, dell’Arabia Saudita e del Qatar, ma anche un grande arsenale di armi lì recapitato assieme ai terroristi di Al-Qa'ida provenienti dalla Libia, che comprende il suo grande deposito di armi chimiche.
I media occidentali, nonché i funzionari governativi occidentali hanno preparato il pubblico per l'imminente utilizzo di armi chimiche nel conflitto siriano, cercando di addossare le responsabilità al governo siriano, a prescindere da quale parte le utilizzi davvero.
Già dal 2007, gli USA, i sauditi, e il governo israeliano si sono preparati a scatenare estremisti settari armati legati direttamente ad Al-Qa'ida, con l'intento di aizzare una guerra settaria sulla scala dell’intera regione mediorientale per distruggere il Libano, la Siria e l'Iran.
Nonostante le avvertenze di ufficiali statunitensi e libanesi sul "conflitto catastrofico" che l'Occidente e i suoi alleati regionali stavano progettando, il canovaccio è stato messo pienamente in scena nel 2011.
Man mano che il genocidio settario si svolge, i media occidentali, in tandem con funzionari occidentali, fingono ignoranza e sgomento rispetto al conflitto che essi stessi hanno volutamente costruito nel corso degli ultimi anni.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.
Megachip
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Usa, tra censura e propaganda. Intervista ad Amber Lyon su Arianna Editrice

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