lunedì 9 maggio 2011



A Giugno andranno rifinanziate le 31 missioni militari all’estero in 29 Paesi geograficamente appartenenti alle aree dei Balcani, del Medio Oriente, del Golfo Persico, dell’Africa e dell’Asia. Il personale delle Forze Armate italiane al 30 Aprile 2011 impiegato dal Ministero della Difesa fuori dal territorio nazionale assomma ufficialmente a 7.114 unità. In realtà, supera abbondantemente le 8.800 presenze continuative dall’1 Gennaio 2011 ad oggi. Facciamo un esempio. In Iraq la presenza di “istruttori” per consulenza, formazione ed addestramento dell’esercito e della polizia del Governo di Al Maliki è fissata, nelle tabelle ufficiali, fluttuante, da 73 a 78 tra ufficiali e sottoufficiali per lo più appartenenti all’Arma dei Carabinieri. Si, siamo ancora a combattere da quelle parti. In realtà sono oltre 100. Il Ministero degli Esteri, per la sicurezza dell’ambasciata italiana a Baghdad, ha a disposizione un nucleo di 30 Carabinieri che non risultano in organico a Via XX Settembre. La Direzione Generale della Difesa approssima costantemente per difetto il numero dei militari in missione all’estero, per non allarmare l’opinione pubblica che è e rimane fortemente contraria ad aumenti di scarponi che si portano dietro un bel po’ di funerali di Stato nella Basilica di S. Maria degli Angeli a Roma. E’ altresì evidente che un conto è la presenza di “osservatori” nella città di Hebron (Cisgiordania Occupata) etichettata dal signor La Russa come territorio appartenente ad “Israele” ed altro sono le operazioni di peace-keeping o peace-enforcing modello Afghanistan, che prevedono azioni di guerra sul campo e/o mitragliamenti e bombardamenti dall’aria.
Per arrivare al 31 Dicembre 2011, questa volta non basteranno le centinaia di milioni di euro tolti dalle tasche degli italiani nell’ultimo semestrale di spesa approvato da maggioranza ed “opposizione” a Camera e Senato, che scade il prossimo 30 Giugno.
Ci vorranno maggiori mezzi finanziari anche tagliando 200-250 militari con il casco blu dal contingente italiano in Libano, azzerando quello in Bosnia (8) e riducendo di 100 unità i 610 della KFOR in Kosovo. Ammesso che lo si voglia davvero fare.
La nuova guerra di Libia porterà inevitabilmente a far lievitare, e di molto, un conto già salatissimo.
Ban Ki Moon è un amicone anche se ci riempie di clandestini e di profughi di guerra da Medio Oriente, Africa ed Asia e ci porta via, per quota parte, il 4.999% del contributo totale versato da 192 Paesi, per un totale parziale di 369.233.723 dollari all’anno per le 15 “operazioni di peacekeeping” dell’ONU a giro per il mondo (16 ce le finanziamo da soli). Un apparato sempre più gigantesco, una colossale sanguisuga, quello presieduto dall’ex Ministro degli Esteri della Corea del Sud, meglio conosciuto nell’ intera Asia come “il serpente”, che sottrae all’Italia altri 68.170.000 dollari per la “UN Logistic Base” di Brindisi come “punto di proiezione” verso Albania, Macedonia, Montenegro, Kosovo e Bosnia. Un altro 5.518 % va a copertura delle spese per il Tribunale Internazionale dell’Aja che ha per presidente un “signorino” come Antonio Cassese, con uscite tricolori per complessivi 6.879.514 dollari ed il 4.999 % per 105.708.890 finalizzato alla “ristrutturazione del Palazzo di Vetro di New York. Un affitto, mascherato, un po’ caruccio. Non trovate? C’è solo da sperare che sia una “voce di spesa” temporanea.
Un apparato, quello dell’ONU, che ingrassa con la frantumazione, programmata, in concorso con gli USA, degli Stati nazionali. In più, la Repubblica delle Banane elargisce ogni 365 giorni attraverso il Ministero degli Esteri al Palazzo di Vetro “donazioni” per altre centinaia di milioni di dollari (versamenti annuali o biennali) in sinergia con la cosiddetta “comunità internazionale”. Quanti? L’entità dei fondi canalizzati verso l’ONU rimangono top secret anche se qualche notizia riesce ufficiosamente a filtrare dai summit.
In passato, fino al 2010 ne abbiamo dato conto, un po’ alla volta, su questo blog. Per il sostegno economico al solo esecutivo Karzai, l’Italietta ha fatto transitare dalle casse del Tesoro a quelle di Kabul una gigantesca, inimmaginabile, montagna di euro. Siamo per importanza di fondi versati all’ONU il 6° Paese contributore a livello planetario. Poi ci sono le “uscite” in nero, difficilmente quantificabili, per blandire, sarebbe meglio dire finanziare, pirati ed autonomisti del Puntland (una gran brutta storia ancora tutta da raccontare), il sedicente Governo Provvisorio della Somalia, con base in Kenia, l’Uganda, il Burundi, l’Etiopia, il nuovo Darfur…
E altro di altrettanto opaco, di sporco. Non ci credete?
Basta domandare a giro a qualche ufficiale di coperta di mercantili italiani in navigazione tra il Golfo di Oman, l’Oceano Indiano e lo stretto di Bab El Mendeb.
Addestrare con “consiglieri” le forze militari su base etnica di presidenti con tonalità dal cacao al caffellatte e sostenere capi di Stato fantoccio servi dell’Occidente con “programmi di sviluppo” e forniture di armi e logistica, è ormai pratica costante per i “governi” italiani da Siad Barre in poi. E’ la parte emersa dell’iceberg.
Se si vuole dare inizio alle danze si potrebbe partire, così a caso, da El Maan e da Johwar magari per qualche imponente fornitura di mitragliatrici e di fuoristrada targati DGCS. L’”avventura” in Libia di fatto ha aperto per il Bel Paese un altro gigantesco capitolo di spesa. Quanto finirà per costarci la “naturale estensione” delle risoluzioni 1970 e 1973 voluta da governo, Quirinale e Consiglio Supremo di Difesa?
Perché l’Italia ha aderito con sospetto entusiasmo alla “Coalizione dei Volenterosi” sapendo perfettamente quello che sarebbe successo a Lampedusa e la Germania ne è restata fuori?
Quanto durerà la guerra della NATO contro la Libia?
Per Juppé, il ministro degli esteri di Sarkozy già titolare della Difesa con Chirac, dei mesi; per Frattini, tre quattro settimane al massimo; per Rasmussen, impossibile dare date certe. Il più disonesto è il titolare (si fa per dire) della Farnesina.
Quanto costerà agli italiani vederne la fine? Quel che è certo è che le, nostre, uscite finanziarie saranno in proporzione alla durata della nuova guerra di aggressione scatenata dalla NATO contro la Libia con il sigillo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La lista delle spese tricolori in tre mesi si è già portata via, stimano gli esperti, almeno 300 milioni di euro. Per coprirne i costi, il governo ha annunciato per Giugno nuovi prelievi dalle tasche degli italiani perbene che continuano a pagare le tasse alla fonte con le buste paga. Tremonti nel frattempo ne ha precisato l’entità. La nuova manovra di prelievo sarà di 9 miliardi di euro.
Alba dell’Odissea intanto ha lasciato il posto ad Unified Protector. Ci ricorda l’Afghanistan con Enduring Freedom ed ISAF. Una coalizione malaticcia, quella della NATO, che vede insieme, dopo l’”abbandono” degli USA, la partecipazione di Francia, Inghilterra, Italia, Danimarca Belgio e Spagna a fronte di 28 Stati aderenti e la solitaria adesione di Qatar ed EAU tra tutti i Paesi arabi, nessuno dell’Africa, con un contributo militare iniziale di due Mirage 2000 e quattro F-16. Un fallimento politico già annunciato ed un avventura di guerra con un finale ancora da scrivere. Un aereo della General Dynamics in fase di atterraggio è uscito rovinosamente di pista. Lo scarso addestramento dei piloti del Qatar ha costretto il Comando a bloccare a terra i rimanenti cacciabombardieri delle due clepto-monarchie ereditarie del Golfo Persico. La Russa, da parte sua, ancora una volta ha voluto fare un gran figurone mettendo a disposizione di Unified Protector 24 tra caccia per la superiorità aerea e cacciabombardieri, un’intera squadra navale e ben 7 basi militari. Corre voce che i rifornimenti di carburante l’assistenza a terra per i jets dell’intera “coalizione” siano a carico dei contribuenti italiani. Se la notiziola trovasse conferma, non c’è che dire, saremmo degli inguaribili “generosi” o dei perfetti ultradementi. Scegliete voi. Cominciammo ad essere tali con il Baffo di Gallipoli nel ’99. Un’occasione che ci consentì di contribuire anche a fare la nostra parte di morti su Serbia e Kosovo, con un’infinità di missili antiradiazione Harm e Paveway da 1.000 libbre. Gli “assetti” terrestri, navali ed aerei, come li chiama il Ministro della Difesa, o meglio della Guerra, messi in campo dal Bel Paese per l’attuazione della “no fly zone” (un po’ di umorismo non fa mai male) sono tali da generare anche sul breve periodo uscite da capogiro.
Il 25 Gennaio scorso Camera e Senato, con il via libera di PdL e PD – cane non morde cane – hanno approvato un piano di sola spesa militare all’estero per 2.26 milioni di euro al giorno con scadenza 30 Giugno 2011.
In totale fanno, ufficialmente, 411 milioni di euro semestrali. Un’abilità contabile, anche qui per difetto, da far paura. In realtà si sfioreranno i 560-580 milioni di euro. Per anno fa la bazzecola di 1.140.000.000 euro. Anche la Cooperazione gestita dalla Farnesina in questi mesi sta andando letteralmente fuori quota. Bilancio in rosso fisso. L’ex Capo di Stato Maggiore Camporini le aveva suonate chiare a Napolitano e Berlusconi fin dall’inizio. Allestire e mantenere una vasta area di “interdizione aerea” sul Paese di Gheddafi sarebbe costato all’Italia un’enormità di risorse. A distanza di novanta giorni, l’allargamento della “missione di pace” in Libia non conosce pause.
Dalle evacuazioni dal porto di Misurata per scopi “umanitari” il governo Berlusconi, con la piena complicità della “sinistra istituzionale”, è passato all’uso di GBU 16 Mk 83 Paveway – e ridagli! – da 454 kg, ai missili Scalp (acronimo di “systeme de croisiere a longue portèe”) Storm-Shadow (gittata 250 Km) di 1.230 Kg con 450 di testata bellica, ad un costo per unità lanciata di – sentite, sentite! – 1.35 milioni di dollari (!) e tanta bella altra robetta “intelligente” che, come ha detto La Russa a Ballarò, assicura la precisione a bersaglio di un metro da 6 km di quota. Per farselo spiegare, il 3 Maggio è andato appositamente – ha affermato – a Treviso alla base dell’ Aeronautica Militare di Istrana.
Ci verrebbe voglia di metter giù il contenuto di qualche telefonata “privata” per farvene capire la “limpidezza” morale.
Nel frattempo Alfredo Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale-Unioncamere, ha dichiarato
: “La scelta del Governo ha avuto come immediata conseguenza il blocco di ogni tipo di attività precedentemente pianificata con la Libia. Il danno al sistema Italia è stimabile in oltre 100 miliardi di euro. Le imprese italiane che hanno dovuto bloccare le attività in Libia sono 130. I rischi sul sistema industriale italiano sono enormi. Ci saranno inevitabili ripercussioni anche sull’indotto del Paese. Quasi tutti i governi dell’Africa, dal Maghreb alla fascia Subsahariana oggi vedono nell’Italia un Paese ostile che porta avanti posizioni opposte a quelle di Unione Africana, Lega Araba e BRICS.”
Quale incoffessabile segreto costringe i governi italiani ad assecondare, senza fiatare, la politica delle guerre permanenti organizzata dagli Stati Uniti a giro per il mondo e dai suoi alleati nel Mediterraneo?
La Farnesina, nel frattempo, ha convocato l’ambasciatore di Bashar Al Assad per esternargli le preoccupazioni dell’Italia per la situazione dell’ordine pubblico in Siria. Ci verrebbe voglia di replicare all’indirizzo del cosiddetto Ministro degli Esteri, allo sguattero dì USA ed “Israele”, il famosissimo invito di Totò con tanto di punto esclamativo a chiusura. Il riconoscimento diplomatico offerto da Palazzo Ghigi alla misteriosa compagine di predoni-mercenari e tagliagole di Abdul Jalil ed Alì Al Isawi, il cosiddetto Comitato Nazionale Transitorio della Cirenaica, non poteva non determinare un “nuovo” che appare completamente fuori controllo.
Il petrolio ed il gas che non riceviamo più dalla Libia per la guerra in corso lo stiamo acquistando, con maggiori oneri di trasporto e di costo al barile, da Kuwait, Arabia Saudita ed Oman per rimpolpare le economie al collasso dei Paesi del Golfo, come gli Emirati Arabi Uniti, alleati di USA ed Europa. Il tutto dopo aver imposto all’ENI la rottura dei contratti di fornitura di energia fossile con l’ Iran. Un “nuovo” ormai destinato a proiettare effetti destabilizzanti di lungo periodo tra Europa, Africa e Medio Oriente. Premessa per quello “scontro di civiltà” che, a parole, Italia e Vaticano intendono evitare a tutti i costi. E’ bene ricordare che in Cirenaica nel 2006, a Bengasi, oggi epicentro della “rivolta”, venne messo a fuoco il consolato italiano come risposta dei “residenti” all’islamofobia magliettara di Calderoli. Il clamoroso voltafaccia operato dal governo italiano sull’accordo economico e militare con la Jamahiriya toglie al nostro Paese gli ultimi scampoli di credibilità politica.
Per tracciare un complesso delle uscite finanziarie che il Paese sta affrontando e dovrà affrontare nel tempo, dovremo necessariamente mettere sotto osservazione la “resistenza” sul terreno dell’esercito libico. Un ostacolo che potrebbe rivelarsi per la NATO molto più difficile da superare di quanto inizialmente previsto dagli analisti a libro paga di Ministero della Difesa e del Comando Generale di Bruxelles.
Per quanto ne sappiamo, la Libia dispone di 1500 Man Portable Air Defence SA 14 Gremlin e SA 16 Gimlet ed oltre 1000 esemplari del ben più moderno ed efficace SA 24 Igla S fornito al Colonnello Gheddafi da Minsk. La metropolitana della citta bielorussa è stata recentenente colpita da un sanguinoso attentato. Missili terra-aria che è difficilissimo sopprimere con l’uso dei soli jets da attacco al suolo e relativamente facile eliminare con gli elicotteri. Un soldato libico mimetizzato in una radura desertica o nascosto da bassa vegetazione, in prossimità di uno o più blindati obsoleti spendibili, senza equipaggi, in colonna a margini della strada Misurata-Bengasi che facciano da esca, può tranquillamente abbattere un aereo d’attacco che opera a bassa quota. Misurata ha banchine portuali per essere rifornita via mare, un vasto ed attrezzato aeroporto alla periferia della città ed è posizionata in linea d’aria ad una manciata di minuti di volo da Tripoli. Da qui l’importanza strategica per la NATO di conservarne il possesso, con i “ribelli” che sono dotati di sofisticate armi anticarro paracadutate sulle zone “libere” dopo l’annientamento dell’ aviazione libica. La guerra coloniale dell’Occidente alla Libia fa parte di un piano ben più vasto: sviluppare in Africa un “nuovo” disegno geopolitico ed un modello di sviluppo economico ancorato all’Occidente.
In altre occasioni cercheremo di affrontare le principali motivazioni strategiche che hanno messo la Jamahiriya di Gheddafi nel mirino degli “esportatori di democrazia”. L’acquisizione con l’uso della forza e la conseguente commercializzazione del petrolio e del gas della Libia, in questo progetto neocoloniale, rappresentano parte sì importante ma non decisiva.
Le sgangherate mitragliere antiaeree da 20 mm delle foto e dei filmati che passano, incessantemente, sui giornali e sulle tv dell’Occidente servono a dimostrare la “spontaneità” della rivolta ed a convincere l’opinione pubblica della necessità di sostenere il piccolo contro il grande, il buono contro il cattivo.
Per valutare correttamente le spese sopportate e sopportabili dall’Italia per impiego bellico e sorveglianza, esclusa la satellitare, del Mediterraneo Sud-Occidentale a lungo, medio e breve raggio con aerei, elicotteri ed UAV, portaerei, fregate, corvette, pattugliatori d’altura, motovedette della Capitaneria di Porto, Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia di Stato, oltre gli oneri sostenuti dal Ministero degli Interni per assistenza medica, gestione delegata dei Centri di Accoglienza, fruizioni alimentari e servizi amministrativi ai 32mila e rotti clandestini arrivati a Lampedusa da Gennaio ad oggi, occorrerà almeno arrivare alla fine del prossimo Dicembre, compreso il trasporto via mare e terra per la destinazione nei campi tenda allestiti da Sindaci, Prefetti e Presidenti di Regione in Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Toscana o nelle strutture dismesse del Ministero della Difesa. Con una variabile che può far saltare tutto per aria: nessuno conosce quale sarà l’incremento nell’arrivo di “carrette” ed il numero di clandestini che sbarcheranno a Lampedusa. Effetti di ritorno della nuova, ultima “avventura” coloniale dell’Occidente sulle coste del Golfo della Sirte.
Ospitare gli assetti d’attacco della coalizione nelle basi aeree di Amendola (Amx-Amx Ghibli, Predator), Gioia del Colle, Aviano, Sigonella, Decimomannu, Trapani-Birgi (Tornado Ecr-Ids, Efa 2000, F-16 ) comporta costi militari al momento difficilmente valutabili. La resistenza sul terreno delle forze armate del colonnello Gheddafi ai bombardamenti aerei della NATO rimane un grosso punto interrogativo. Per ora si può solamente dare una risposta certa al costo del combustibile ad uso navale, di bombe e missili aria-terra ed alle uscite finanziarie derivanti dagli impieghi pressochè continuativi dei mezzi di A.M.I. e M.M..
La portaerei Garibaldi in navigazione nel braccio di mare tra la Sicilia e la Libia brucia, è il caso di dirlo, metano in quantità industriali per alimentare nell’intero arco delle 24 ore una potenza turbine di 82.000 cv, mentre gli 8-12 cacciabombardieri a decollo verticale Av-8 B Plus 9.000 euro per ogni ora di volo, tralasciando l’impiego a rotazione di 4-6 elicotteri pesanti SH 3D, altrettanto costoso. Gli Amx ed i Tornado rispettivamente 28 e 34 mila euro, l’Eurofighter 61.000, gli F-16 31.000. La fregata Libeccio utilizza gas con turbine GE/Fiat Avio Lm 2500 per una potenza di 50.000 cv, il pattugliatore d’altura Bettica 13.000, i rifornitori classe Etna bruciano diesel per erogare 9.000 cv. I rifornitori di squadra, Etna, Stromboli e Vesuvio imbarcano e distribuiscono, ciascuno, alle navi della M.M. e della NATO impiegate nelle operazioni Active Endeavour, SNMG2 ed Unified Protector in azione di interdizione navale nel Mediterraneo ed Atalanta, di “antipirateria” nello Stretto di Bab El Mendeb ed Oceano Indiano, 4.000 tonnellate di gasolio, 400 di carburante avio e 300 di approvvigionamenti alimentari per tutti gli equipaggi e logistica, a rotazione, fino ad esaurimento e reintegro dei materiali liquidi e solidi nella basi di Brindisi, Taranto e Gibuti. Il carburante avio serve per gli aerei a decollo verticale e gli elicotteri imbarcati.
E veniamo all’usura delle formazioni di squadra della Marina Militare. Più navigano più necessitano di frequenti revisioni negli arsenali alla parte immersa ed emersa delle strutture-nave, alle attrezzature imbarcate, radar, sonar, componente missilistica, condutture vapore, turbine ed apparati trasmissione moto, aerei ed elicotteri imbarcati. Farle passare, un po’ alla volta, per dei bacini di carenaggio comporta un fermo complessivo di manutenzione di anni, un elevato impiego di manodopera specializzata ed una indifferibile sostituzione con unità pariclasse a completamento di ogni ciclo operativo di 3 mesi. Più navigano più si accorciano i tempi tra vari e radiazioni, con la conseguente necessità di nuovi cantieristici per la quisquilia di altri… miliardi di euro. L’operazione Unified Protector ha consegnato all’Italia un altro pesantissimo onere: la responsabilità del controllo sul traffico marittimo, civile e militare, nell’intero Mediterraneo per l’applicazione dell’embargo di armi alla Jamahiriya in vigore dalla data della risoluzione ONU 1973. Missione che comporta la immediata segnalazione al Comando Militare della NATO presso la base di Napoli gestito dal contrammiraglio Rinaldo Vieri di ogni avvistamento “sospetto”, con autorizzazione di abbordaggio ed ispezione armata a tutti i trasporti mercantili naviganti su rotte di “avvicinamento” al Golfo della Sirte. La voluta opacità della risoluzione 1973 offre un enorme spazio di manovra ad USA ed Alleati della NATO, per controllare la natura dei carichi trasportati nelle stive od alloggiati in coperta di tutti gli Stati che prima del 17 Marzo 2011 intrattenevano rapporti politici e di collaborazione economica con la Jamahiriya, con particolare attenzione alle navi battenti bandiera di Stati potenzialmente ostili od ostili ad USA ed “Israele”. Un “lavoro”, quello affidato all’Italia ed all’Ammiraglio di Squadra Vieri, economicamente non sopportabile a medio periodo e totalmente suicida a livello politico, anche se il Ministro della Difesa si è prontamente dichiarato “enormemente soddisfatto” per l’importanza e la delicatezza dell’impegno affidato dal Comando Generale di Bruxelles alla Repubblica delle Banane.
Pagliacci come La Russa e Frattini, di fatto, hanno precipitato un po’ alla volta il Paese in un’altra guerra, con la manifesta complicità del Presidente della Repubblica, meglio conosciuto come Mr. NATOlitano. Un personaggio d’epoca con trascorsi molto, ma molto imbarazzanti. L’agiografia ufficiale lascia scoperte grosse zone d’ombra. Servirebbero delle rivisitazioni sia pre che post belliche, con particolare riferimento all’”operazione Barbarossa” ed all’aperta collaborazione con Amendola, fino alla concessione del pass USA-NATO che gli darà il via per arrivare al Quirinale. Qualunque “personalità politica” vi acceda avrà il mezzo di conoscere scottanti segreti di Stato ed elementi di pressione di straordinaria efficacia da far valere per mantenere a vita altissimi incarichi istituzionali e politici.

E che dire di Berlusconi? Dargli del vile è poca cosa. Un personaggio che peraltro manifesta gravi e ripetuti disturbi della personalità ed una crescente perdita di contatto con la realtà di un Paese ormai in ginocchio.
Intanto, poverino, non dorme. E’ preoccupato per i suoi 5 figli ed i nipotini. Quelli di Gheddafi per il Cavalier di Arcore non contano. Il senatore Kerry tirerà, forte forte, le orecchie all’inquilino di Palazzo Chigi. Hillary Clinton, appena qualche giorno più tardi, le ha fatte diventare rosse.
Permetteteci una nota finale.
Il Gruppo di Contatto sulla Libia, la cui riunione si è tenuta il 5 Maggio nella sala conferenze della Farnesina alla presenza di Frattini e del Segretario di Stato USA, ha stabilito l’istituzione di un MFT (Meccanismo di Finanziamento Temporaneo) alimentato da donazioni e prestiti, composto da 5 componenti (tre del Comitato Nazionale della “nuova” Libia, uno del Qatar ed uno, a rotazione semestrale, di Francia e Italia) che servirà a pagare ai “ribelli” della Cirenaica salari (!), viveri, medicine e cure mediche. A Bengasi, intanto, ci hanno assicurato, girano centinaia di tagliagole che portano a spalla vecchie versioni di M(P) 12 Beretta, mitragliette dello stesso tipo di quelle in dotazione a Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri. Gli “istruttori” – 10 come dichiarato da La Russa o molti, molti di più? – si sono fatti precedere da una logistica di guerra. Il Qatar ha già stanziato per il nuovo CNT 500 milioni di dollari, il Kuwait 180.
Quanto avrà promesso Frattini ai “ribelli” della Libia? Ancora non lo sappiamo. Quel che è certo è che, ancora una volta, intenderà fare il gay con il solo culo degli italiani. Il CNT ha avvertito che rischia già la bancarotta.
Un buon inizio. Servono urgentemente 3 miliardi di dollari, ha dichiarato Mahamud Jibril, il “premier” di una Libia che non c’è. Volete scommettere che tra 3-6 mesi, ad hoc, ci sarà magari a Roma od a Parigi un’altra bella Conferenza Internazionale di Paesi donatori? Aspettatevelo.
Nel frattempo la Repubblica delle Banane si appresterebbe a scongelare le proprietà, le partecipazioni azionarie in società italiane ed i fondi della Banca di Libia attualmente sotto sequestro, per versare le prime tranche in liquidità al CNT. Ci penserà l’ONU, vedrete, con un’altra sanzioncina, alla zitta, contro il Colonnello Gheddafi a mettere posto la faccenduola. E se altre migliaia di lavoratori, solo in Italia, perderanno il lavoro, quelli di Finmeccanica in testa?
Niente paura. I cervelli sono stati ampiamente cloroformizzati.
Le scimmie urlanti della politica e delle istituzioni continueranno a tenere gli arti superiori appoggiati su dei grossi caschi di banane. Nel frattempo c’è un’inflazione di creatività con bandette, palloncini colorati, pupazzi animati, balli, coriandoli e slogans naif, ed un pieno – vuoto – di manifestazioni con la banda del buco di Angeletti, Bonanni & soci. Facciamoci i complimenti.
Giancarlo Chetoni
Bye bye Uncle Sam

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